Concordato preventivo biennale 2025-26
20250924 . La recente campagna istituzionale a favore del Concordato Preventivo Biennale, sintetizzata nello slogan "Conviene a te, conviene allo Stato", solleva un interessante dibattito sulle politiche di gestione della crisi d'impresa. Per comprenderlo appieno, è necessario analizzare tanto la natura dello strumento quanto le obiezioni sollevate dalla dottrina critica.
Il Concordato Preventivo Biennale si configura come una procedura di composizione negoziata della crisi, concepita specificamente per le piccole e medie imprese che versano in uno stato di difficoltà economica non ancora irreversibile. La sua logica operativa si fonda su una ragionevole contropartita: l'imprenditore, mantenendo la gestione dell'azienda, si impegna a presentare un piano che offra ai creditori – tra cui figurano in posizione spesso preminente le banche e l'Agenzia delle Entrate – una prospettiva di recupero certamente inferiore al credito originario, ma presumibilmente più vantaggiosa dell'esito prevedibile di un fallimento. La convenienza per l'imprenditore è evidente: si evita la procedura fallimentare, si salvaguardano l'attività e i livelli occupazionali. La convenienza per lo Stato, proclamata dallo slogan, risiederebbe nel fatto che, agendo come creditore fiscale, otterrebbe un parziale rientro dei crediti invece di un recupero pressoché nullo, preservando al contempo un soggetto attivo che, una volta risanato, continuerà a contribuire al gettito fiscale e alla stabilità sociale.
Tuttavia, una parte significativa della letteratura giuridica ed economica contesta la reale convenienza per la collettività, avanzando argomenti di notevole peso. Il primo punto di critica investe il potenziale effetto di "moral hazard". Si osserva come l'accesso relativamente agevolato a una ristrutturazione dei debiti, inclusi quelli tributari, potrebbe finire per premiare comportamenti imprenditoriali poco accorti o eccessivamente rischiosi, alterando il principio fondamentale della responsabilità d'impresa. In altre parole, si crea un rischio di selezione avversa, dove uno strumento nobile può essere utilizzato da soggetti che hanno contribuito alla propria crisi attraverso una gestione non ottimale.
La critica più forte riguarda proprio lo sconto sui debiti fiscali. Questo meccanismo, se da un lato rappresenta un recupero immediato per l'erario, dall'altro costituisce una perdita secca a carico della fiscalità generale. Tale condizione introduce una palese disparità di trattamento tra l'impresa in difficoltà, che beneficia di una condono negoziale, e l'impresa virtuosa che assolve puntualmente ai propri obblighi, minando il principio di equità orizzontale del sistema tributario.
Ulteriore elemento di scetticismo concerne la sostenibilità nel lungo periodo degli accordi raggiunti. Esiste il fondato timore che, in assenza di un reale ritorno alla competitività, il piano di concordato possa semplicemente rappresentare un rinvio dell'inevitabile fallimento. In questo scenario, lo Stato non solo avrebbe rinunciato a una parte del credito, ma avrebbe anche assistito a un ulteriore consumo di risorse giudiziarie per una crisi solo posticipata, con un recupero finale ancor più esiguo. Infine, non va trascurato l'onere operativo per la Pubblica Amministrazione, chiamata a valutare e negoziare una mole crescente di procedure, spesso da una posizione di debolezza negoziale dettata dalla priorità di scongiurare il fallimento.