I vaccini anti COVID-19. La ricerca sulle reazioni avverse.
20250800 . Nuove evidenze scientifiche delineano con sempre maggiore precisione il rapporto tra vaccini anti-COVID e l’insorgenza o l’evoluzione di patologie. Gli studi confermano un profilo di sicurezza globale favorevole, seppure con specifiche associazioni da monitorare.
Diverse ricerche indicano che la vaccinazione riduce significativamente il rischio di sviluppare la maggior parte delle condizioni post-COVID (Long COVID). Un’ampia analisi retrospettiva su oltre 300.000 individui ha rilevato una diminuzione del 47% nei disturbi cutanei, del 21% in quelli circolatori e dell’11% in quelli sensoriali tra i vaccinati. Un dato controintuitivo emerge tuttavia nei disturbi mentali, dove si osserva un lieve incremento del rischio (6%), le cui cause – legate a stress pandemico o meccanismi biologici – restano oggetto d’indagine.
Sul fronte neurologico, il 31.2% dei partecipanti allo studio NEURO-COVAX ha segnalato sintomi transitori come cefalea (17%) o insonnia (5%), più frequenti con vaccini a vettore virale (es. AstraZeneca) rispetto agli mRNA. Tuttavia, ricerche italiane su 265 coppie caso-controllo non hanno rilevato aumenti significativi di ictus, sclerosi multipla o epilessia. Anzi, tre dosi hanno dimostrato un effetto protettivo contro l’ictus negli over 60 con comorbidità, riducendone il rischio dell’86%.
Le patologie cardiovascolari rappresentano un capitolo delicato. Sebbene le miocarditi post-vaccino (2 casi ogni 100.000 dosi) abbiano attirato l’attenzione mediatica – specie tra giovani maschi dopo la seconda dose di mRNA –, uno studio israeliano ricorda che il rischio è 5-10 volte superiore dopo l’infezione naturale. Per questo la Società Italiana di Cardiologia raccomanda la vaccinazione prioritaria ai cardiopatici, categoria in cui il COVID-19 moltiplica la mortalità.
Particolare rilievo ha la questione trombosi. La rara sindrome VITT (28 casi/100.000 dosi), associata principalmente ai vaccini a vettore virale, si manifesta come trombosi cerebrale o addominale con piastrinopenia entro 14 giorni dalla somministrazione. Studi danesi hanno identificato meccanismi biologici distinti: marcati aumenti di P-selectina e IL-6 dopo vaccini come AstraZeneca, non riscontrati con Pfizer o Moderna.
Sul versante autoimmunità, segnalazioni aneddotiche di riacutizzazioni post-vaccino non trovano conferma in studi sistematici, che registrano tassi inferiori al 5%. Quanto al dibattito sulla mortalità, ipotesi controverse (come quelle di Skidmore o Rancourt) sono state confutate da analisi su veterani USA e popolazione australiana, dove nessun eccesso di decessi è risultato statisticamente significativo.
Il quadro complessivo, sorvegliato da EMA e AIFA, conferma la rarità degli eventi gravi (6 casi/milione per miocardite) e un rapporto benefici-rischi ampiamente positivo.** Restano però differenze demografiche da considerare: giovani uomini per le miocarditi da mRNA, donne under-50 per le trombosi da vettore virale. La ricerca continua a monitorare gli effetti a lungo termine, specialmente nei sottogruppi fragili, mentre per i cardiopatici e i pazienti con comorbidità la vaccinazione rimane un presidio salvavita.
*Fonti selezionate: NEURO-COVAX study (2023), The Lancet Regional Health Europe, EMA safety reports, Italian Society of Cardiology guidelines.*
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